sabato 17 marzo 2018


Apprendo su FB del Suo 46°compleanno e sebbene non mi pare di conoscerLa, avendo alcuni amici in comune, mi appresto egualmente a formularLe i miei migliori auguri, che diversifico dagli altri, grazie ad una attenta ed accurata ricerca fatta su internet, dalla quale emerge che i nati come Lei il 19 di febbraio sono persone tenaci e determinate che avvertono la necessità di esplorare, senza timore alcuno, l’ambiente circostante, seguendo i propri istinti indagatori che li portano verso mondi lontani.Amano aprire nuovi orizzonti con le loro attività e l’idea di dare ai concetti o alle proposte il proprio marchio personale li attira enormemente; l’impulso verso il successo è per essi sempre molto sano e vitale.Sono spesso dotati di spiccate abilità dirigenziali, eppure è raro che desiderino detenere il comando. Chi nasci il 19 febbraio è audace, fantasioso e forte, di contro è imprudente, duro ed incapace di controllarsi. Non so fino a che punto queste caratteristiche corrispondano alla sua personalità.E’ un compito che le attribuisco ben volentieri. Mi piace ricordarLe inoltre che sono nati il 19 febbraio alcuni importanti personaggi, che elenco qui di seguito in ordine cronologico. Essi sono: 1) NICCOLO’ COPERNICO l’astronomo polacco nato nel 1473 noto per la teoria eliocentrica in base alla quale il sole è immobile e sono i pianeti compresa la terra a girargli intorno, fondamentale per la storia dell’umanità e dell’evoluzione della scienza. Sarà Galileo Galilei, un se3colo dopo, a confermarne la validità e successivamente Giordano Bruno a prenderla come base per la propria tesi sull’infinità dei mondi. Tutti avversati dalla chiesa che li considerò degli eretici processandoli e condannandoli; 2) VINCENZO MONTI, il poeta e letterato classico nato nel 1754 universalmente noto per avere tradotto in italiano l’Iliade; 3) MASSIMO TROISI, l’attore nato nel 1953 a San Giorgio a Cremano, divenuto celebre per l’interpretazione di film come “Ricomincio da tre”,”Non ci resta che piangere”, 2Le vie del Signore sono finite”, morto Il 4 giugno 1994, ad Ostia (Roma), Troisi muore nel sonno a causa del suo cuore malato, ventiquattro ore dopo aver terminato le riprese de "Il postino

Apprendo su FB del Suo 46°compleanno e sebbene non mi pare di conoscerLa, avendo alcuni amici in comune, mi appresto egualmente a formularLe i miei migliori auguri, che diversifico dagli altri, grazie ad una attenta ed accurata ricerca fatta su internet, dalla quale emerge che i nati come Lei il 19 di febbraio sono persone tenaci e determinate che avvertono la necessità di esplorare, senza timore alcuno, l’ambiente circostante, seguendo i propri istinti indagatori che li portano verso mondi lontani.Amano aprire nuovi orizzonti con le loro attività e l’idea di dare ai concetti o alle proposte il proprio marchio personale li attira enormemente; l’impulso verso il successo è per essi sempre molto sano e vitale.Sono spesso dotati di spiccate abilità dirigenziali, eppure è raro che desiderino detenere il comando. Chi nasci il 19 febbraio è audace, fantasioso e forte, di contro è imprudente, duro ed incapace di controllarsi. Non so fino a che punto queste caratteristiche corrispondano alla sua personalità.E’ un compito che le attribuisco ben volentieri. Mi piace ricordarLe inoltre che sono nati il 19 febbraio alcuni importanti personaggi, che elenco qui di seguito in ordine cronologico. Essi sono: 1) NICCOLO’ COPERNICO l’astronomo polacco nato nel 1473 noto per la teoria eliocentrica in base alla quale il sole è immobile e sono i pianeti compresa la terra a girargli intorno, fondamentale per la storia dell’umanità e dell’evoluzione della scienza. Sarà Galileo Galilei, un se3colo dopo, a confermarne la validità e successivamente Giordano Bruno a prenderla come base per la propria tesi sull’infinità dei mondi. Tutti avversati dalla chiesa che li considerò degli eretici processandoli e condannandoli; 2) VINCENZO MONTI, il poeta e letterato classico nato nel 1754 universalmente noto per avere tradotto in italiano l’Iliade; 3) MASSIMO TROISI, l’attore nato nel 1953 a San Giorgio a Cremano, divenuto celebre per l’interpretazione di film come “Ricomincio da tre”,”Non ci resta che piangere”, 2Le vie del Signore sono finite”, morto Il 4 giugno 1994, ad Ostia (Roma), Troisi muore nel sonno a causa del suo cuore malato, ventiquattro ore dopo aver terminato le riprese de "Il postino

Apprendo su FB del Suo 46°compleanno e sebbene non mi pare di conoscerLa, avendo alcuni amici in comune, mi appresto egualmente a formularLe i miei migliori auguri, che diversifico dagli altri, grazie ad una attenta ed accurata ricerca fatta su internet, dalla quale emerge che i nati come Lei il 19 di febbraio sono persone tenaci e determinate che avvertono la necessità di esplorare, senza timore alcuno, l’ambiente circostante, seguendo i propri istinti indagatori che li portano verso mondi lontani.Amano aprire nuovi orizzonti con le loro attività e l’idea di dare ai concetti o alle proposte il proprio marchio personale li attira enormemente; l’impulso verso il successo è per essi sempre molto sano e vitale.Sono spesso dotati di spiccate abilità dirigenziali, eppure è raro che desiderino detenere il comando. Chi nasci il 19 febbraio è audace, fantasioso e forte, di contro è imprudente, duro ed incapace di controllarsi. Non so fino a che punto queste caratteristiche corrispondano alla sua personalità.E’ un compito che le attribuisco ben volentieri. Mi piace ricordarLe inoltre che sono nati il 19 febbraio alcuni importanti personaggi, che elenco qui di seguito in ordine cronologico. Essi sono: 1) NICCOLO’ COPERNICO l’astronomo polacco nato nel 1473 noto per la teoria eliocentrica in base alla quale il sole è immobile e sono i pianeti compresa la terra a girargli intorno, fondamentale per la storia dell’umanità e dell’evoluzione della scienza. Sarà Galileo Galilei, un se3colo dopo, a confermarne la validità e successivamente Giordano Bruno a prenderla come base per la propria tesi sull’infinità dei mondi. Tutti avversati dalla chiesa che li considerò degli eretici processandoli e condannandoli; 2) VINCENZO MONTI, il poeta e letterato classico nato nel 1754 universalmente noto per avere tradotto in italiano l’Iliade; 3) MASSIMO TROISI, l’attore nato nel 1953 a San Giorgio a Cremano, divenuto celebre per l’interpretazione di film come “Ricomincio da tre”,”Non ci resta che piangere”, 2Le vie del Signore sono finite”, morto Il 4 giugno 1994, ad Ostia (Roma), Troisi muore nel sonno a causa del suo cuore malato, ventiquattro ore dopo aver terminato le riprese de "Il postino

mercoledì 21 settembre 2016



Egregi colleghi,

è con vivo piacere che annuncio l’invio del numero 0 della neonata rassegna, intitolata “Tra …foro trapanese”, che, giusta autorizzazione gentilmente concessa dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Trapani, nella seduta del 22.06.2016, può raggiungere tutti gli iscritti all’albo, fermo restando il diritto da parte di ciascuno di loro essi di chiedere la propria cancellazione, qualora la rassegna non fosse di suo interesse e/o gradimento.

Ma, andiamo al contenuto di detta rassegna o newsletter che dir si voglia, il cui scopo è quello di far circolare notizie, curiosità, problemi che interessano l’intera nostra categoria, con l’intento di tentarne la soluzione mediante quei suggerimenti che, di volta in volta, si rivelino più adatti ed opportuni.

Per fare un esempio tra i tanti, non si capisce il motivo per il quale un attrezzo come l’”eliminacode”, di cui era dotato l’ufficio di ricezione atti per la notifica fino a qualche anno fa, sia stato dismesso, costringendo spesso a lunghe e snervanti attese, con l’aggravante della c.d. “marcatura ad uomo” o “a donna” (a seconda dei casi) al fine di evitare sempre possibili e talora inevitabili scavalcamenti da parte di chi, facendosi furbo, dice di entrare soltanto per il ritiro degli atti notificati, salvo, poi, una volta dentro, a passarli per la notifica.

Sempre a proposito di ufficiali giudiziari, non si capisce perché la notifica di un atto ex art.139 c.p.c. e cioè a mani, da eseguirsi ad Alcamo, Castellammare del Golfo e dintorni, debba comportare un costo assai pesante per via di un assurdo diritto di trasferta in favore di chi opera esclusivamente nell’ambito di quel territorio.

Lo stesso dicasi per gli atti di pignoramento e in particolare per i pignoramenti presso terzi e per quelli immobiliari.

La soluzione è abbastanza semplice, essendo sufficiente istituire un ufficio distaccato ad Alcamo, dove fare affluire tutti gli atti da notificare in quel territorio senza alcun aggravio per la trasferta.

Ma – ripeto – questo è uno dei tanti problemi che ci affliggono e fra essi, tutto sommato, il meno importante se messo a confronto con la prassi, instaurata nel nostro tribunale, di delegare ai GOT funzioni non previste dal codice di rito, né dall’ordinamento giudiziario.

Mi riferisco in particolare all’assunzione delle prove testimoniali che alcuni togati delegano ai giudici onorari in violazione dell’art.203 C.P.C., a norma del quale la delega è consentita soltanto nel caso in cui i mezzi di prova debbono assumersi fuori della circoscrizione del tribunale, salvo che le parti richiedano concordemente e il presidente del tribunale consenta che vi si trasferisca il giudice stesso.

Non mi stanco di ripetere in proposito che uno dei cardini su cui si fonda il procedimento civile, introdotto dal vigente codice(lo si può considerare ancora tale dopo tutte le modifiche al quale è stato sottoposto?) consiste nella presenza assidua del giudice, designato per l’istruzione della causa, fin dalle battute iniziali, per poi giungere alla conclusione e alla decisione, a differenza di quel che accadeva nella vigenza del codice del 1865 in cui i protagonisti del processo erano soltanto le parti, che avevano la facoltà di procedere all’istruzione del giudizio nei modi e nei tempi da essi ritenuti più opportuni, venendo a contatto con il giudice, che conoscevano per la prima volta solo quando la causa era matura per la decisione.

Si arrivava al punto che alle parti era dato di prolungare la durata del processo senza alcun limite temporale. Basta che ne chiedessero l’interruzione per tenerlo in uno stato di quiescenza di ben tre anni, al termine dei quali soltanto il processo si estingueva, sempreché, l’ultimo giorno utile, una delle parti non compisse una qualche attività per evitarne l’estinzione e così di seguito per un ulteriore triennio.

Al fine di ovviare agli inevitabili inconvenienti che questo modus precedendi                  comportava, il legislatore del ’42, nel varare il nuovo codice di procedura civile, assegnò al giudice istruttore una funzione assai più significativa e pregnante con l’attribuirgli fin da subito poteri quali la direzione del dibattito processuale, il contatto diretto con le parti e con i loro difensori, l’audizione personale parti stesse ogni qual volta egli ritenesse opportuno acquisire i chiarimenti da lui ritenuti necessari e così via, talché l’assunzione dei mezzi di prova la cui  ammissione è stata al medesimo direttamente attribuita (oggi possiamo dire esclusivamente, in seguito all’abrogazione assai deprecabile, dell’art. 178 c.p.c.) non può essere delegata ad altri, se non a prezzo di sacrificare la conoscenza che del materiale probatorio egli acquisisce e, comunque, deve possedere.

Senza dire che questa  prassi degenere (qui, da noi, purtroppo divenuta pervasiva) si pone in netto contrasto con il dettato dell’art.174 c.p.c., a norma del quale “il giudice designato è investito di tutta l’istruzione della causa”, ivi compresa (e a maggior ragione) perciò l’assunzione dei mezzi di prova.

Tale prassi la si giustifica chiamando in causa il C.S.M. che l’autorizzerebbe, ma, la prassi, non essendo legge, dev’essere respinta e conculcata le quante volte, come nel caso in specie, essa si pone in netto contrasto con la norma, violandone il contenuto.

Procediamo oltre e parliamo della c.d. mediazione, soprattutto di quella obbligatoria, che il patrio legislatore continua ad imporci nel tentativo, rivelatosi pressoché inutile, di ridurre il contenzioso.

Orbene la funzione della conciliazione rientra nella giurisdizione volontaria, questa intesa in contrapposizione alla giurisdizione contenziosa, che, una volta, attribuita ai giudici conciliatori, è stata affidata ai giudici di pace, a far tempo dal 1995.

Essa consiste nel fare da paciere fra le parti e nell’adoperarsi per comporre le controversie insorte tra di loro.

Ad onor del vero, nella mia pluridecennale esperienza professionale, non ho mai assistito alla messa in pratica di tale funzione da parte dei suddetti organi giudiziari, i quali svolgono la loro attività, né più né meno come giudici, nonostante il dettato dell’art. 320 c.p.c. il cui comma primo impone al giudice di pace, nella prima udienza, di interrogare liberamente le parti per tentarne la conciliazione.

Si badi bene, sto parlando dell’obbligo che incombe al g.d.p. nelle controversie ordinarie, obbligo diverso da quello previsto dall’art.322, che ha per oggetto un istituto generalmente ignoto o, per meglio dire, ignorato dalla quasi generale totalità degli avvocati, in cui la conciliazione ha luogo su precisa istanza proposta dalla parte in sede non contenziosa, allo scopo di prevenire una lite e di raggiungere un accordo, che ha il valore di titolo esecutivo se la controversia rientra nella competenza del giudice di pace.

Mi si dirà che il numero di controversie delle quali sono chiamati ad occuparsi questi magistrati onorari è così elevato da rendere assai difficile tale compito.

Ciò non significa tuttavia che esso sia impossibile.

Tanto per cominciare, la presenza personale delle parti – all’udienza di prima comparizione – dovrebbe essere obbligatoria, non avendo senso attribuire il compito della conciliazione al patrono, che, per quanto munito di tale facoltà (le procure alle liti desunte da moduli assai sofisticati comprendono di tutto e di più) ben difficilmente si acconcia ad un esito di composizione amichevole o bonaria, che dir si voglia, della lite, che egli stesso ha promosso (se per l’attore) o contrastato (se per il convenuto).

Ma perché questo accada le udienze destinate alla prima comparizione dovrebbero essere tenute in  giorni diversi da quelle destinate alla trattazione, non essendo giusto costringere i difensori di queste ultime a soffermarsi nelle sale di udienza (rectius,  nei corridoi antistanti a queste ultime, avendo il vigente codice reso obbligatoria la segretezza dell’udienza) in attesa che il g.d.p. svolga nella maniera più compiuta il tentativo di conciliazione.

Fatto non meno importante è che il g.d.p. arrivi in udienza preparato e cioè a conoscenza , quanto meno, del contenuto del libello introduttivo (nella maggior parte dei casi l’atto di citazione) che gli faciliterebbe il compito.

Ciononpertanto è da escludere che il rimedio sia destinato a sortire sempre o spesso l’esito sperato, stante che il conflitto degli interessi individuali, che hanno dato causa alla lite difficilmente risulta componibile, al di fuori dei casi in cui i malintesi e le ripicche abbiano indotto le parti a litigare.

Prova ne sia che il legislatore ha incrementato ancor  più nei tempi recenti il ricorso alla mediazione, resa obbligatoria, affidandola ad organismi stragiudiziali, che, però, non hanno risolto il problema, ma reso più pesante il costo della giustizia.

In controtendenza con quanto stabilito in materia di controversie di lavoro, a far tempo dal 2010, allorché, resosi conto della sua inutilità, il legislatore ha abrogato l’art.412 bis c.p.c. a norma del quale l’espletamento del tentativo di conciliazione costituiva condizione di procedibilità della domanda introduttiva della controversia di lavoro, esso lo ha esteso alla maggior parte delle controversie ordinarie a scopo unicamente deflattivo del contenzioso.

E qui entra in ballo l’esaltazione delle transazioni come mezzo per definire le liti più comodo e più economico delle sentenze, che è una tendenza antica.

Se ne ha traccia nel proverbio popolare secondo il quale val più una magra transazione che una grassa sentenza.

Ma questa tendenza è un chiaro indice di sfiducia nel diritto perché se la conciliazione serve a stimolare la preferenza alle giuste sentenze delle soluzioni di una accomodante transazione, si pone in netto contrasto coi fini propri della giustizia e non può trovar posto nel processo civile, come programmato dal legislatore del ’40, che mira a rafforzare la presenza dello Stato attraverso la funzione giurisdizionale da esso esercitata tramite l’ordinamento giudiziario.

Continuando di questo passo, si finisce con il trasformare il processo civile in una sorta di giurisdizione volontaria, incrementando lo scetticismo contro la legalità e, in ultima analisi, contro la stessa giustizia intesa nel suo pregnante significato, che – si ripete – è lo strumento apprestato per garantire l’osservanza del diritto.

Non a caso la denominazione di giurisdizione richiama etimologicamente (iuris dictio) la fase di accertamento attraverso la quale lo Stato dicit ius, accerta cioè il comando individuato (la norma) che regola il caso concreto.

E siccome l’accertamento del comando non è di per sé sufficiente se colui nei confronti del quale esso è diretto (solitamente il convenuto) non vi si conforma, la giurisdizione comprende anche la fase successiva ed eventuale che è l’esecuzione forzata, onde cognizione ed esecuzione sono le sorelle inseparabili della giurisdizione.

Non per niente la giustizia è simbolicamente rappresentata con la bilancia (l’accertamento) e con la spada ( l’esecuzione coattiva).

Scriveva in proposito Piero Calamandrei  che i ragionamenti del giudice possono tradursi in realtà solo se dietro la bilancia del giudicante vigila la spada dell’esecutore, la quale non può muoversi, però, se prima il giudice non abbia imparzialmente pesato le ragioni della giustizia.

Epperò il giudice, questo arbitro imparziale al di sopra delle parti, nel soppesare tali ragioni non può fare a meno dell’ausilio, esso sì indispensabile, che gli viene apportato non tanto dalle parti quanto e piuttosto dai loro difensori, titolari dello ius postulandi, che è il potere di trattare direttamente col giudice, esponendogli le istanze e le ragioni dei propri patrocinati.

Trattasi, ovviamente, di tesi generalmente contrapposte e contrastanti perché, rappresentando l’interesse privato del cliente, il patrocinatore esplica nel processo un’attività che, per ovvi motivi, deve necessariamente essere parziale, diretta com’è al conseguimento della vittoria del proprio cliente.

Se così non fosse, consistendo in detto contrasto uno dei cardini del processo (il contraddittorio sancito dall’art. 101 c.p.c.) la lite si ridurrebbe ad uno sterile ed inutile monologo.

Di vero la parzialità di uno dei difensori si scontra con quella del difensore avversario, dando vita ad un contrasto che giova alla scoperta della verità.

Da siffatto contrasto, che deve svolgersi con le modalità, le regole ed i tempi appositamente previsti (scritti difensivi, dovere di lealtà e probità, rispetto dei termini di volta in volta fissati dalla legge o dal giudice etc.) trae spunto il giudicante per pervenire  alla soluzione del conflitto, che sfocia nella sua decisione.

Giusta o sbagliata che essa sia (il codice appresta i mezzi per porvi rimedio) prelude al passaggio in giudicato delle sentenza, la quale non implica che il suo contenuto sia giusto ma ha per il caso concreto esaminato la stessa forza della legge, la quale, a sua volta, vale fino a quando è in vigore non certo perché il suo contenuto sia socialmente giusto, ma unicamente per l’autorità di cui è rivestita, onde il noto adagio dura lex, sed lex.

E qui il discorso si allarga e diventa più complesso, involgendo un problema assai delicato e particolarmente sentito quale l’esigenza che il giudice sia un giurista.

Ma come accade per gli avvocati, che non sempre sono molto esperti, lo stesso succede con i giudici, alcuni dei quali sono tutt’altro che giuristi.

Giunto il momento di porre termine a questo mio sproloquio, vengo al sodo.

La presente rubrica si propone, fra l’altro, di rendere nei limiti del possibile, partecipi i colleghi di come viene amministrata la giustizia nell’ambito del circondario del nostro tribunale nonché del distretto territoriale, segnalando, di volta in volta, quei provvedimenti che meritano di essere attenzionati sia nel bene che nel male.

Occorre a tal fine la collaborazione di tutti, poiché altrimenti mi vedrei costretto all’improba fatica di dover leggere tutte le sentenze (che come noto, diventano di pubblico dominio una volta depositate) e soltanto esse, perché degli altri provvedimenti (decreti, ordinanze etc.) non vi sarebbe modo di venire a conoscenza.

Mi piace a tal proposito sottoporre alla Vostra attenzione quel che mi è, di recente, accaduto.

Si era a me rivolto un cliente il quale aveva venduto un bene mobile registrato  per il complessivo prezzo di Euro 6.000, di cui Euro 1.500 ricevuti al momento della vendita e la differenza da pagarsi mediante rimessa diretta con scadenze mensili differite.

Nonostante il decorso del termine pattuito, l’acquirente aveva omesso di pagare il residuo prezzo, talché il venditore, dopo ripetuti ed inutili inviti diretti al debitore, si era risolto ad adire  le vie legali, rivolgendosi a me.

Quando venne a trovarmi erano scadute soltanto alcune rate, essendocene altre ancora da scadere, talché il problema che mi si poneva era quello di agire intanto per la riscossione del credito fino a quel punto maturato, differendo al prosieguo il recupero della differenza.

Un momento – mi sono detto – se mal ricordo è consentito al creditore di esigere immediatamente l’intera prestazione anche nel caso in cui il termine non sia scaduto.

La compulsazione del codice civile mi ha dato ragione: l’art. 1186, prevede giustappunto  la decadenza dal termine e l’immediata esigibilità della prestazione se il debitore è divenuto insolvente o ha diminuito le garanzie che aveva dato o non ha dato le garanzie promesse.

Facendomi forte di tale norma, ho perciò predisposto un ricorso per decreto ingiuntivo, che ho corredato non solo del contratto di vendita, ma anche di una certificazione attestante l’insolvenza del debitore.

Dopo alcuni giorni, mi perviene  un invito da parte del giudice designato dal seguente tenore:
“Il Giudice di Pace della sezione civile di Trapani, ……….., ai sensi dell’art. 640 co.1 c.p.c., invita parte ricorrente all’integrazione del ricorso per decreto ingiuntivo, mediante la produzione della documentazione che segue:
prova dell’invio di atto di costituzione in mora, con diffida ad adempiere, indirizzato al debitore.
Si condivide in tal senso l’orientamento giurisprudenziale che considera importante la sussistenza di una pregressa messa in mora con la quale venga riassunta in forma chiara e dettagliata l’origine del credito/debito (c.f.r., G.d.P. Taranto 01/03/2016).
Manda alla Cancelleria per quanto di competenza”.
Al che mi appresto a rispondere come di seguito:

Giudice Egregio

Il sottoscritto, letto il decreto con il quale Ella invita parte ricorrente ad integrare la documentazione posta a corredo del ricorso mediante la produzione della lettera di costituzione in mora della ditta convenuta, in adesione all’indirizzo giurisprudenziale ivi citato (sentenza 1.03.2016 del G.d.P. di Taranto), osserva e deduce quanto di seguito.

La proposizione del ricorso in oggetto, per quanto non preceduta da una formale diffida della convenuta, ha fatto seguito ai solleciti di adempimento ripetutamente rivolti a quest’ultima per le vie brevi, che, però, non hanno sortito alcun effetto.

Per quanto manchi perciò una formale costituzione in mora, essa non dovrebbe impedire tuttavia la concessione del decreto ingiuntivo, vigendo in materia un indirizzo giurisprudenziale di segno contrario a quello da Lei citato, ma, di certo, assai significativo per l’importanza della fonte da cui proviene.

Mi riferisco a quanto ha avuto modo di statuire in proposito la Suprema Corte, ad avviso della quale, sebbene la decadenza del debitore dal beneficio del termine, ai sensi dell’art.1186 c.c., non consegua automaticamente alla sua sopravvenuta insolvenza, occorrendo pur sempre che il creditore richieda l’immediato adempimento, tale richiesta può essere effettuata, tuttavia, con la stessa domanda giudiziale di pagamento del debito.

“Il diritto del creditore di avvalersi della decadenza del debitore dal beneficio del termine e di esigere immediatamente la prestazione, infatti, può essere dedotto con la domanda o il ricorso per ingiunzione di pagamento del debito non ancora scaduto”(Cass. Civ. Sez. II 5.12.1989 n. 5371).

Che non si tratti di una decisione isolata lo si rinviene, del resto, nella motivazione della medesima sentenza, la quale, tra le tante, cita come precedenti conformi Cass. 18.05.1976 n.1750; Cass. 17.03.1978 n. 1343 e Cass. 22.07.1984 n. 3865.

E perciò con tutto il rispetto dovuto all’orientamento del G.d.P. di Taranto, non può, né deve essere ignorata la funzione nomofilattica che l’art. 65 della legge sull’ordinamento giudiziario italiano (R.D. 30 gennaio 1941 n.12) attribuisce alla Corte di Cassazione, quale organo supremo della giustizia, che assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, garantendo la certezza del diritto.

Ciò non impedisce – è vero -  il prevalere nel tempo di un orientamento diverso e/o contrario, ma deve trattarsi pur sempre di un argomentato e ben motivato dissenso, in presenza del quale soltanto è dato alla Corte di Cassazione a Sezioni Unite di comporre il dissidio insorto tra le sezioni semplici del supremo consesso (cfr. art. 374 c.p.c.).

Senza dire che l’emissione del decreto ingiuntivo, fa salva la possibilità per il debitore di far valere, in sede di eventuale opposizione, le sue ragioni circa l’insussistenza della ritenuta insolvenza.

In questi precisi termini, invero, si è espresso il S.C. in una più recente pronuncia, la quale recita testualmente: La disposizione di carattere generale dell’art. 1186 c.c., che consente al creditore di esigere immediatamente la prestazione, anche quando per essa sia stato stabilito un termine nell’interesse del debitore, se questo è divenuto insolvente o ha diminuito per fatto proprio le garanzie o non ha dato le garanzie promesse, non postula il conseguimento di una preventiva pronuncia giudiziale né la formulazione di un’espressa domanda, potendo essere il diritto al pagamento immediato virtualmente dedotto con la domanda o il ricorso per ingiunzione di pagamento del debito non ancora scaduto, in quanto la sentenza o il decreto che tale domanda accolgano devono ritenersi contenere un implicito accertamento positivo delle condizioni per l’applicabilità della citata norma, salva la possibilità per il debitore (in sede di opposizione, nel caso di decreto ingiuntivo) di far valere le sue ragioni circa l’insussistenza della ritenuta insolvenza (Cass., Sez. III, 8.05.2003 n.6984).

Voglio sperare pertanto, Giudice Egregio, che non venga tenuto in non cale il principio basilare della nomofilachia, che è uno dei pilastri sul quale regge l’ordinamento giudiziario di cui anche Ella fa parte.

Con la dovuta osservanza.

Per fortuna ho trovato orecchie disponibili all’ascolto e ottenuto l’emissione del decreto ingiuntivo.

Dico per fortuna perché non sempre, purtroppo , c’è questa disponibilità al dialogo da parte di giudici, spesso non togati, che assumono atteggiamenti irremovibili come se fossero i depositari della verità.

Ma di questo parleremo successivamente, magari profittando dell’occasione che qualcuno dei destinatari di questa mia vorrà darmene, segnalandomi qualche caso capitatogli.

E per il momento basti.

Avv. Vincenzo Orlando