Apprendo su FB del Suo 46°compleanno e sebbene non mi pare
di conoscerLa, avendo alcuni amici in comune, mi appresto egualmente a
formularLe i miei migliori auguri,
che diversifico dagli altri, grazie ad una attenta ed accurata ricerca fatta su
internet, dalla quale emerge che i nati come Lei il 19 di febbraio sono persone
tenaci e determinate che avvertono la necessità di esplorare, senza timore
alcuno, l’ambiente circostante, seguendo i propri istinti indagatori che li
portano verso mondi lontani.Amano aprire nuovi orizzonti con le loro attività e
l’idea di dare ai concetti o alle proposte il proprio marchio personale li
attira enormemente; l’impulso verso il successo è per essi sempre molto sano e
vitale.Sono spesso dotati di spiccate abilità dirigenziali, eppure è raro che
desiderino detenere il comando. Chi nasci il 19 febbraio è audace, fantasioso e
forte, di contro è imprudente, duro ed incapace di controllarsi. Non so fino a
che punto queste caratteristiche corrispondano alla sua personalità.E’ un compito
che le attribuisco ben volentieri. Mi piace ricordarLe inoltre che sono nati il
19 febbraio alcuni importanti personaggi, che elenco qui di seguito in ordine
cronologico. Essi sono: 1) NICCOLO’ COPERNICO l’astronomo polacco nato nel 1473
noto per la teoria eliocentrica in base alla quale il sole è immobile e sono i
pianeti compresa la terra a girargli intorno, fondamentale per la storia
dell’umanità e dell’evoluzione della scienza. Sarà Galileo Galilei, un se3colo
dopo, a confermarne la validità e successivamente Giordano Bruno a prenderla
come base per la propria tesi sull’infinità dei mondi. Tutti avversati dalla
chiesa che li considerò degli eretici processandoli e condannandoli; 2)
VINCENZO MONTI, il poeta e letterato classico nato nel 1754 universalmente noto
per avere tradotto in italiano l’Iliade; 3) MASSIMO TROISI, l’attore nato nel
1953 a San Giorgio a Cremano, divenuto celebre per l’interpretazione di film
come “Ricomincio da tre”,”Non ci resta che piangere”, 2Le vie del Signore sono
finite”, morto Il 4 giugno 1994, ad Ostia (Roma), Troisi muore nel sonno a
causa del suo cuore malato, ventiquattro ore dopo aver terminato le riprese de
"Il
postino
sabato 17 marzo 2018
Apprendo su FB del Suo 46°compleanno e sebbene non mi pare
di conoscerLa, avendo alcuni amici in comune, mi appresto egualmente a
formularLe i miei migliori auguri,
che diversifico dagli altri, grazie ad una attenta ed accurata ricerca fatta su
internet, dalla quale emerge che i nati come Lei il 19 di febbraio sono persone
tenaci e determinate che avvertono la necessità di esplorare, senza timore
alcuno, l’ambiente circostante, seguendo i propri istinti indagatori che li
portano verso mondi lontani.Amano aprire nuovi orizzonti con le loro attività e
l’idea di dare ai concetti o alle proposte il proprio marchio personale li
attira enormemente; l’impulso verso il successo è per essi sempre molto sano e
vitale.Sono spesso dotati di spiccate abilità dirigenziali, eppure è raro che
desiderino detenere il comando. Chi nasci il 19 febbraio è audace, fantasioso e
forte, di contro è imprudente, duro ed incapace di controllarsi. Non so fino a
che punto queste caratteristiche corrispondano alla sua personalità.E’ un compito
che le attribuisco ben volentieri. Mi piace ricordarLe inoltre che sono nati il
19 febbraio alcuni importanti personaggi, che elenco qui di seguito in ordine
cronologico. Essi sono: 1) NICCOLO’ COPERNICO l’astronomo polacco nato nel 1473
noto per la teoria eliocentrica in base alla quale il sole è immobile e sono i
pianeti compresa la terra a girargli intorno, fondamentale per la storia
dell’umanità e dell’evoluzione della scienza. Sarà Galileo Galilei, un se3colo
dopo, a confermarne la validità e successivamente Giordano Bruno a prenderla
come base per la propria tesi sull’infinità dei mondi. Tutti avversati dalla
chiesa che li considerò degli eretici processandoli e condannandoli; 2)
VINCENZO MONTI, il poeta e letterato classico nato nel 1754 universalmente noto
per avere tradotto in italiano l’Iliade; 3) MASSIMO TROISI, l’attore nato nel
1953 a San Giorgio a Cremano, divenuto celebre per l’interpretazione di film
come “Ricomincio da tre”,”Non ci resta che piangere”, 2Le vie del Signore sono
finite”, morto Il 4 giugno 1994, ad Ostia (Roma), Troisi muore nel sonno a
causa del suo cuore malato, ventiquattro ore dopo aver terminato le riprese de
"Il
postino
Apprendo su FB del Suo 46°compleanno e sebbene non mi pare
di conoscerLa, avendo alcuni amici in comune, mi appresto egualmente a
formularLe i miei migliori auguri,
che diversifico dagli altri, grazie ad una attenta ed accurata ricerca fatta su
internet, dalla quale emerge che i nati come Lei il 19 di febbraio sono persone
tenaci e determinate che avvertono la necessità di esplorare, senza timore
alcuno, l’ambiente circostante, seguendo i propri istinti indagatori che li
portano verso mondi lontani.Amano aprire nuovi orizzonti con le loro attività e
l’idea di dare ai concetti o alle proposte il proprio marchio personale li
attira enormemente; l’impulso verso il successo è per essi sempre molto sano e
vitale.Sono spesso dotati di spiccate abilità dirigenziali, eppure è raro che
desiderino detenere il comando. Chi nasci il 19 febbraio è audace, fantasioso e
forte, di contro è imprudente, duro ed incapace di controllarsi. Non so fino a
che punto queste caratteristiche corrispondano alla sua personalità.E’ un compito
che le attribuisco ben volentieri. Mi piace ricordarLe inoltre che sono nati il
19 febbraio alcuni importanti personaggi, che elenco qui di seguito in ordine
cronologico. Essi sono: 1) NICCOLO’ COPERNICO l’astronomo polacco nato nel 1473
noto per la teoria eliocentrica in base alla quale il sole è immobile e sono i
pianeti compresa la terra a girargli intorno, fondamentale per la storia
dell’umanità e dell’evoluzione della scienza. Sarà Galileo Galilei, un se3colo
dopo, a confermarne la validità e successivamente Giordano Bruno a prenderla
come base per la propria tesi sull’infinità dei mondi. Tutti avversati dalla
chiesa che li considerò degli eretici processandoli e condannandoli; 2)
VINCENZO MONTI, il poeta e letterato classico nato nel 1754 universalmente noto
per avere tradotto in italiano l’Iliade; 3) MASSIMO TROISI, l’attore nato nel
1953 a San Giorgio a Cremano, divenuto celebre per l’interpretazione di film
come “Ricomincio da tre”,”Non ci resta che piangere”, 2Le vie del Signore sono
finite”, morto Il 4 giugno 1994, ad Ostia (Roma), Troisi muore nel sonno a
causa del suo cuore malato, ventiquattro ore dopo aver terminato le riprese de
"Il
postino
mercoledì 21 settembre 2016
Egregi colleghi,
è con vivo piacere
che annuncio l’invio del numero 0 della neonata rassegna, intitolata “Tra …foro trapanese”, che, giusta
autorizzazione gentilmente concessa dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di
Trapani, nella seduta del 22.06.2016, può raggiungere tutti gli iscritti
all’albo, fermo restando il diritto da parte di ciascuno di loro essi di
chiedere la propria cancellazione, qualora la rassegna non fosse di suo
interesse e/o gradimento.
Ma, andiamo al
contenuto di detta rassegna o newsletter che dir si voglia, il cui scopo è
quello di far circolare notizie, curiosità, problemi che interessano l’intera
nostra categoria, con l’intento di tentarne la soluzione mediante quei
suggerimenti che, di volta in volta, si rivelino più adatti ed opportuni.
Per fare un esempio
tra i tanti, non si capisce il motivo per il quale un attrezzo come l’”eliminacode”,
di cui era dotato l’ufficio di ricezione atti per la notifica fino a qualche
anno fa, sia stato dismesso, costringendo spesso a lunghe e snervanti attese,
con l’aggravante della c.d. “marcatura ad uomo” o “a donna” (a seconda dei
casi) al fine di evitare sempre possibili e talora inevitabili scavalcamenti da
parte di chi, facendosi furbo, dice di entrare soltanto per il ritiro degli
atti notificati, salvo, poi, una volta dentro, a passarli per la notifica.
Sempre a proposito
di ufficiali giudiziari, non si capisce perché la notifica di un atto ex
art.139 c.p.c. e cioè a mani, da eseguirsi ad Alcamo, Castellammare del Golfo e
dintorni, debba comportare un costo assai pesante per via di un assurdo diritto
di trasferta in favore di chi opera esclusivamente nell’ambito di quel territorio.
Lo stesso dicasi
per gli atti di pignoramento e in particolare per i pignoramenti presso terzi e
per quelli immobiliari.
La soluzione è
abbastanza semplice, essendo sufficiente istituire un ufficio distaccato ad
Alcamo, dove fare affluire tutti gli atti da notificare in quel territorio
senza alcun aggravio per la trasferta.
Ma – ripeto –
questo è uno dei tanti problemi che ci affliggono e fra essi, tutto sommato, il
meno importante se messo a confronto con la prassi, instaurata nel nostro
tribunale, di delegare ai GOT funzioni non previste dal codice di rito, né
dall’ordinamento giudiziario.
Mi riferisco in
particolare all’assunzione delle prove testimoniali che alcuni togati delegano
ai giudici onorari in violazione dell’art.203 C.P.C., a norma del quale la
delega è consentita soltanto nel caso in cui i mezzi di prova debbono assumersi
fuori della circoscrizione del tribunale, salvo che le parti richiedano
concordemente e il presidente del tribunale consenta che vi si trasferisca il
giudice stesso.
Non mi stanco di
ripetere in proposito che uno dei cardini su cui si fonda il procedimento
civile, introdotto dal vigente codice(lo si può considerare ancora tale dopo
tutte le modifiche al quale è stato sottoposto?) consiste nella presenza
assidua del giudice, designato per l’istruzione della causa, fin dalle battute
iniziali, per poi giungere alla conclusione e alla decisione, a differenza di
quel che accadeva nella vigenza del codice del 1865 in cui i protagonisti del
processo erano soltanto le parti, che avevano la facoltà di procedere
all’istruzione del giudizio nei modi e nei tempi da essi ritenuti più
opportuni, venendo a contatto con il giudice, che conoscevano per la prima
volta solo quando la causa era matura per la decisione.
Si arrivava al
punto che alle parti era dato di prolungare la durata del processo senza alcun
limite temporale. Basta che ne chiedessero l’interruzione per tenerlo in uno
stato di quiescenza di ben tre anni, al termine dei quali soltanto il processo
si estingueva, sempreché, l’ultimo giorno utile, una delle parti non compisse
una qualche attività per evitarne l’estinzione e così di seguito per un
ulteriore triennio.
Al fine di ovviare
agli inevitabili inconvenienti che questo modus
precedendi comportava, il legislatore del
’42, nel varare il nuovo codice di procedura civile, assegnò al giudice
istruttore una funzione assai più significativa e pregnante con l’attribuirgli fin
da subito poteri quali la direzione del dibattito processuale, il contatto
diretto con le parti e con i loro difensori, l’audizione personale parti stesse
ogni qual volta egli ritenesse opportuno acquisire i chiarimenti da lui
ritenuti necessari e così via, talché l’assunzione dei mezzi di prova la cui ammissione è stata al medesimo direttamente
attribuita (oggi possiamo dire esclusivamente, in seguito all’abrogazione assai
deprecabile, dell’art. 178 c.p.c.) non può essere delegata ad altri, se non a
prezzo di sacrificare la conoscenza che del materiale probatorio egli acquisisce
e, comunque, deve possedere.
Senza dire che
questa prassi degenere (qui, da noi,
purtroppo divenuta pervasiva) si pone in netto contrasto con il dettato
dell’art.174 c.p.c., a norma del quale “il
giudice designato è investito di tutta l’istruzione della causa”, ivi compresa
(e a maggior ragione) perciò l’assunzione dei mezzi di prova.
Tale prassi la si
giustifica chiamando in causa il C.S.M. che l’autorizzerebbe, ma, la prassi,
non essendo legge, dev’essere respinta e conculcata le quante volte, come nel
caso in specie, essa si pone in netto contrasto con la norma, violandone il contenuto.
Procediamo oltre e
parliamo della c.d. mediazione, soprattutto di quella obbligatoria, che il
patrio legislatore continua ad imporci nel tentativo, rivelatosi pressoché
inutile, di ridurre il contenzioso.
Orbene la funzione
della conciliazione rientra nella giurisdizione volontaria, questa intesa in
contrapposizione alla giurisdizione contenziosa, che, una volta, attribuita ai
giudici conciliatori, è stata affidata ai giudici di pace, a far tempo dal
1995.
Essa consiste nel
fare da paciere fra le parti e nell’adoperarsi per comporre le controversie
insorte tra di loro.
Ad onor del vero,
nella mia pluridecennale esperienza professionale, non ho mai assistito alla
messa in pratica di tale funzione da parte dei suddetti organi giudiziari, i
quali svolgono la loro attività, né più né meno come giudici, nonostante il
dettato dell’art. 320 c.p.c. il cui comma primo impone al giudice di pace,
nella prima udienza, di interrogare liberamente le parti per tentarne la
conciliazione.
Si badi bene, sto
parlando dell’obbligo che incombe al g.d.p. nelle controversie ordinarie,
obbligo diverso da quello previsto dall’art.322, che ha per oggetto un istituto
generalmente ignoto o, per meglio dire, ignorato dalla quasi generale totalità
degli avvocati, in cui la conciliazione ha luogo su precisa istanza proposta
dalla parte in sede non contenziosa, allo scopo di prevenire una lite e di
raggiungere un accordo, che ha il valore di titolo esecutivo se la controversia
rientra nella competenza del giudice di pace.
Mi si dirà che il
numero di controversie delle quali sono chiamati ad occuparsi questi magistrati
onorari è così elevato da rendere assai difficile tale compito.
Ciò non significa
tuttavia che esso sia impossibile.
Tanto per
cominciare, la presenza personale delle parti – all’udienza di prima
comparizione – dovrebbe essere obbligatoria, non avendo senso attribuire il
compito della conciliazione al patrono, che, per quanto munito di tale facoltà
(le procure alle liti desunte da moduli assai sofisticati comprendono di tutto
e di più) ben difficilmente si acconcia ad un esito di composizione amichevole
o bonaria, che dir si voglia, della lite, che egli stesso ha promosso (se per
l’attore) o contrastato (se per il convenuto).
Ma perché questo
accada le udienze destinate alla prima comparizione dovrebbero essere tenute
in giorni diversi da quelle destinate
alla trattazione, non essendo giusto costringere i difensori di queste ultime a
soffermarsi nelle sale di udienza (rectius, nei corridoi antistanti a queste ultime,
avendo il vigente codice reso obbligatoria la segretezza dell’udienza) in
attesa che il g.d.p. svolga nella maniera più compiuta il tentativo di
conciliazione.
Fatto non meno
importante è che il g.d.p. arrivi in udienza preparato e cioè a conoscenza ,
quanto meno, del contenuto del libello introduttivo (nella maggior parte dei
casi l’atto di citazione) che gli faciliterebbe il compito.
Ciononpertanto è da
escludere che il rimedio sia destinato a sortire sempre o spesso l’esito
sperato, stante che il conflitto degli interessi individuali, che hanno dato
causa alla lite difficilmente risulta componibile, al di fuori dei casi in cui
i malintesi e le ripicche abbiano indotto le parti a litigare.
Prova ne sia che il
legislatore ha incrementato ancor più
nei tempi recenti il ricorso alla mediazione, resa obbligatoria, affidandola ad
organismi stragiudiziali, che, però, non hanno risolto il problema, ma reso più
pesante il costo della giustizia.
In controtendenza
con quanto stabilito in materia di controversie di lavoro, a far tempo dal
2010, allorché, resosi conto della sua inutilità, il legislatore ha abrogato
l’art.412 bis c.p.c. a norma del quale l’espletamento del tentativo di
conciliazione costituiva condizione di procedibilità della domanda introduttiva
della controversia di lavoro, esso lo ha esteso alla maggior parte delle
controversie ordinarie a scopo unicamente deflattivo del contenzioso.
E qui entra in
ballo l’esaltazione delle transazioni come mezzo per definire le liti più
comodo e più economico delle sentenze, che è una tendenza antica.
Se ne ha traccia
nel proverbio popolare secondo il quale val più una magra transazione che una
grassa sentenza.
Ma questa tendenza
è un chiaro indice di sfiducia nel diritto perché se la conciliazione serve a
stimolare la preferenza alle giuste sentenze delle soluzioni di una accomodante
transazione, si pone in netto contrasto coi fini propri della giustizia e non
può trovar posto nel processo civile, come programmato dal legislatore del ’40,
che mira a rafforzare la presenza dello Stato attraverso la funzione
giurisdizionale da esso esercitata tramite l’ordinamento giudiziario.
Continuando di
questo passo, si finisce con il trasformare il processo civile in una sorta di giurisdizione
volontaria, incrementando lo scetticismo contro la legalità e, in ultima
analisi, contro la stessa giustizia intesa nel suo pregnante significato, che –
si ripete – è lo strumento apprestato per garantire l’osservanza del diritto.
Non a caso la
denominazione di giurisdizione richiama etimologicamente (iuris dictio) la fase di accertamento attraverso la quale lo Stato dicit ius, accerta cioè il comando
individuato (la norma) che regola il caso concreto.
E siccome
l’accertamento del comando non è di per sé sufficiente se colui nei confronti
del quale esso è diretto (solitamente il convenuto) non vi si conforma, la
giurisdizione comprende anche la fase successiva ed eventuale che è
l’esecuzione forzata, onde cognizione ed esecuzione sono le sorelle
inseparabili della giurisdizione.
Non per niente la
giustizia è simbolicamente rappresentata con la bilancia (l’accertamento) e con
la spada ( l’esecuzione coattiva).
Scriveva in
proposito Piero Calamandrei che i
ragionamenti del giudice possono tradursi in realtà solo se dietro la bilancia
del giudicante vigila la spada dell’esecutore, la quale non può muoversi, però,
se prima il giudice non abbia imparzialmente pesato le ragioni della giustizia.
Epperò il giudice,
questo arbitro imparziale al di sopra delle parti, nel soppesare tali ragioni
non può fare a meno dell’ausilio, esso sì indispensabile, che gli viene
apportato non tanto dalle parti quanto e piuttosto dai loro difensori, titolari
dello ius postulandi, che è il potere
di trattare direttamente col giudice, esponendogli le istanze e le ragioni dei
propri patrocinati.
Trattasi,
ovviamente, di tesi generalmente contrapposte e contrastanti perché, rappresentando
l’interesse privato del cliente, il patrocinatore esplica nel processo un’attività
che, per ovvi motivi, deve necessariamente essere parziale, diretta com’è al
conseguimento della vittoria del proprio cliente.
Se così non fosse,
consistendo in detto contrasto uno dei cardini del processo (il contraddittorio
sancito dall’art. 101 c.p.c.) la lite si ridurrebbe ad uno sterile ed inutile
monologo.
Di vero la
parzialità di uno dei difensori si scontra con quella del difensore avversario,
dando vita ad un contrasto che giova alla scoperta della verità.
Da siffatto
contrasto, che deve svolgersi con le modalità, le regole ed i tempi
appositamente previsti (scritti difensivi, dovere di lealtà e probità, rispetto
dei termini di volta in volta fissati dalla legge o dal giudice etc.) trae
spunto il giudicante per pervenire alla
soluzione del conflitto, che sfocia nella sua decisione.
Giusta o sbagliata
che essa sia (il codice appresta i mezzi per porvi rimedio) prelude al
passaggio in giudicato delle sentenza, la quale non implica che il suo
contenuto sia giusto ma ha per il caso concreto esaminato la stessa forza della
legge, la quale, a sua volta, vale fino a quando è in vigore non certo perché
il suo contenuto sia socialmente giusto, ma unicamente per l’autorità di cui è
rivestita, onde il noto adagio dura lex,
sed lex.
E qui il discorso si
allarga e diventa più complesso, involgendo un problema assai delicato e
particolarmente sentito quale l’esigenza che il giudice sia un giurista.
Ma come accade per
gli avvocati, che non sempre sono molto esperti, lo stesso succede con i
giudici, alcuni dei quali sono tutt’altro che giuristi.
Giunto il momento
di porre termine a questo mio sproloquio, vengo al sodo.
La presente rubrica
si propone, fra l’altro, di rendere nei limiti del possibile, partecipi i
colleghi di come viene amministrata la giustizia nell’ambito del circondario
del nostro tribunale nonché del distretto territoriale, segnalando, di volta in
volta, quei provvedimenti che meritano di essere attenzionati sia nel bene che
nel male.
Occorre a tal fine
la collaborazione di tutti, poiché altrimenti mi vedrei costretto all’improba
fatica di dover leggere tutte le sentenze (che come noto, diventano di pubblico
dominio una volta depositate) e soltanto esse, perché degli altri provvedimenti
(decreti, ordinanze etc.) non vi sarebbe modo di venire a conoscenza.
Mi piace a tal
proposito sottoporre alla Vostra attenzione quel che mi è, di recente,
accaduto.
Si era a me rivolto
un cliente il quale aveva venduto un bene mobile registrato per il complessivo prezzo di Euro 6.000, di
cui Euro 1.500 ricevuti al momento della vendita e la differenza da pagarsi mediante
rimessa diretta con scadenze mensili differite.
Nonostante il
decorso del termine pattuito, l’acquirente aveva omesso di pagare il residuo
prezzo, talché il venditore, dopo ripetuti ed inutili inviti diretti al
debitore, si era risolto ad adire le vie
legali, rivolgendosi a me.
Quando venne a
trovarmi erano scadute soltanto alcune rate, essendocene altre ancora da
scadere, talché il problema che mi si poneva era quello di agire intanto per la
riscossione del credito fino a quel punto maturato, differendo al prosieguo il
recupero della differenza.
Un momento – mi
sono detto – se mal ricordo è consentito al creditore di esigere immediatamente
l’intera prestazione anche nel caso in cui il termine non sia scaduto.
La compulsazione del
codice civile mi ha dato ragione: l’art. 1186, prevede giustappunto la decadenza dal termine e l’immediata
esigibilità della prestazione se il debitore è divenuto insolvente o ha
diminuito le garanzie che aveva dato o non ha dato le garanzie promesse.
Facendomi forte di
tale norma, ho perciò predisposto un ricorso per decreto ingiuntivo, che ho
corredato non solo del contratto di vendita, ma anche di una certificazione
attestante l’insolvenza del debitore.
Dopo alcuni giorni,
mi perviene un invito da parte del giudice
designato dal seguente tenore:
“Il Giudice di Pace della sezione civile di Trapani,
……….., ai sensi dell’art. 640 co.1 c.p.c., invita parte ricorrente
all’integrazione del ricorso per decreto ingiuntivo, mediante la produzione
della documentazione che segue:
prova dell’invio di atto di costituzione in mora, con
diffida ad adempiere, indirizzato al debitore.
Si condivide in tal senso l’orientamento
giurisprudenziale che considera importante la sussistenza di una pregressa
messa in mora con la quale venga riassunta in forma chiara e dettagliata
l’origine del credito/debito (c.f.r., G.d.P. Taranto 01/03/2016).
Manda alla Cancelleria per quanto di competenza”.
Al che mi appresto
a rispondere come di seguito:
Giudice Egregio
Il sottoscritto,
letto il decreto con il quale Ella invita parte ricorrente ad integrare la
documentazione posta a corredo del ricorso mediante la produzione della lettera
di costituzione in mora della ditta convenuta, in adesione all’indirizzo
giurisprudenziale ivi citato (sentenza 1.03.2016 del G.d.P. di Taranto),
osserva e deduce quanto di seguito.
La proposizione del
ricorso in oggetto, per quanto non preceduta da una formale diffida della
convenuta, ha fatto seguito ai solleciti di adempimento ripetutamente rivolti a
quest’ultima per le vie brevi, che, però, non hanno sortito alcun effetto.
Per quanto manchi
perciò una formale costituzione in mora, essa non dovrebbe impedire tuttavia la
concessione del decreto ingiuntivo, vigendo in materia un indirizzo
giurisprudenziale di segno contrario a quello da Lei citato, ma, di certo,
assai significativo per l’importanza della fonte da cui proviene.
Mi riferisco a
quanto ha avuto modo di statuire in proposito la Suprema Corte, ad avviso della
quale, sebbene la decadenza del debitore dal beneficio del termine, ai sensi
dell’art.1186 c.c., non consegua automaticamente alla sua sopravvenuta
insolvenza, occorrendo pur sempre che il creditore richieda l’immediato
adempimento, tale richiesta può essere effettuata, tuttavia, con la stessa
domanda giudiziale di pagamento del debito.
“Il diritto del creditore di avvalersi della decadenza
del debitore dal beneficio del termine e di esigere immediatamente la
prestazione, infatti, può essere dedotto con la domanda o il ricorso per
ingiunzione di pagamento del debito non ancora scaduto”(Cass. Civ. Sez. II
5.12.1989 n. 5371).
Che non si tratti
di una decisione isolata lo si rinviene, del resto, nella motivazione della
medesima sentenza, la quale, tra le tante, cita come precedenti conformi Cass.
18.05.1976 n.1750; Cass. 17.03.1978 n. 1343 e Cass. 22.07.1984 n. 3865.
E perciò con tutto
il rispetto dovuto all’orientamento del G.d.P. di Taranto, non può, né deve
essere ignorata la funzione nomofilattica che l’art. 65 della legge sull’ordinamento giudiziario italiano
(R.D. 30 gennaio 1941 n.12) attribuisce alla Corte di Cassazione, quale organo
supremo della giustizia, che assicura l’esatta osservanza e l’uniforme
interpretazione della legge, garantendo la certezza del diritto.
Ciò non impedisce –
è vero - il prevalere nel tempo di un
orientamento diverso e/o contrario, ma deve trattarsi pur sempre di un
argomentato e ben motivato dissenso, in presenza del quale soltanto è dato alla
Corte di Cassazione a Sezioni Unite di comporre il dissidio insorto tra le
sezioni semplici del supremo consesso (cfr. art. 374 c.p.c.).
Senza dire che
l’emissione del decreto ingiuntivo, fa salva la possibilità per il debitore di
far valere, in sede di eventuale opposizione, le sue ragioni circa
l’insussistenza della ritenuta insolvenza.
In questi precisi
termini, invero, si è espresso il S.C. in una più recente pronuncia, la quale
recita testualmente: La disposizione di
carattere generale dell’art. 1186 c.c., che consente al creditore di esigere
immediatamente la prestazione, anche quando per essa sia stato stabilito un
termine nell’interesse del debitore, se questo è divenuto insolvente o ha
diminuito per fatto proprio le garanzie o non ha dato le garanzie promesse, non
postula il conseguimento di una preventiva pronuncia giudiziale né la
formulazione di un’espressa domanda, potendo essere il diritto al pagamento
immediato virtualmente dedotto con la domanda o il ricorso per ingiunzione di
pagamento del debito non ancora scaduto, in quanto la sentenza o il decreto che
tale domanda accolgano devono ritenersi contenere un implicito accertamento
positivo delle condizioni per l’applicabilità della citata norma, salva la
possibilità per il debitore (in sede di opposizione, nel caso di decreto
ingiuntivo) di far valere le sue ragioni circa l’insussistenza della ritenuta
insolvenza (Cass., Sez. III, 8.05.2003 n.6984).
Voglio sperare
pertanto, Giudice Egregio, che non venga tenuto in non cale il principio
basilare della nomofilachia, che è uno dei pilastri sul quale regge
l’ordinamento giudiziario di cui anche Ella fa parte.
Con la dovuta
osservanza.
Per fortuna ho
trovato orecchie disponibili all’ascolto e ottenuto l’emissione del decreto
ingiuntivo.
Dico per fortuna
perché non sempre, purtroppo , c’è questa disponibilità al dialogo da parte di
giudici, spesso non togati, che assumono atteggiamenti irremovibili come se
fossero i depositari della verità.
Ma di questo
parleremo successivamente, magari profittando dell’occasione che qualcuno dei
destinatari di questa mia vorrà darmene, segnalandomi qualche caso capitatogli.
E per il momento basti.
Avv. Vincenzo Orlando
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